CURIOSITA'
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Le
buchette del vino, San Miniato
di Francesco Fiumalbi
In
Occidente, fin dall'antichità, il vino è un alimento
legato alla sfera sacra, tanto nelle religioni pagane, quanto in quelle
monoteiste.
Da qui a
farne quasi un oggetto di culto ce ne corre, ma in
pratica è quello che è accaduto a Firenze a partire dai secoli XV e
XVI. Dei
veri e propri "Tabernacoli del Vino" si aprivano sulle strade della
Firenze rinascimentale, realizzati alla stessa maniera delle edicole
sacre.
In realtà
si chiamano "Buchette del Vino", ma la
tradizione popolare le ha accostate ai tabernacoli proprio per loro
forma,
presa in prestito dalle edicole religiose.
Costituivano
l'apertura degli "spacci" per la
vendita del vino e dell'olio, in diretta comunicazione con la cantina,
che
generalmente si trovava nei piani bassi o interrati degli edifici.
Essendo un
commercio molto florido, proprio per ripararsi dal rischio delle
rapine, queste
buchette consentivano a mala pena il passaggio di un "toscanello", il
tipico fiasco toscano la cui produzione era concentrata nell'empolese.
Cantina
Capponi, Firenze, via de'Bardi
Cantina,
Firenze, via de'Bardi
A Firenze
se ne contano a decine e decine, alla base dei
palazzi nobiliari e non, tutte più o meno caratterizzate dalla tipica
forma a
edicola in pietra, con archetto superiore, con o senza la punta a
goccia, e
tutte rigorosamente chiuse da una porticina in miniatura. Nacquero fra
il '400
e il '500, dopo che la crisi finanziaria aveva quasi messo in ginocchio
Firenze
(come non ricordare il fallimento dei Bardi e dei Peruzzi, per la
mancata
restituzione del debito da parte di Edoardo, Re d'Inghilterra). I
banchieri
cominciarono, così, a diversificare i propri investimenti,
concentrandoli
sempre di più sul "bene rifugio" per eccellenza: la terra. Divennero
proprietari terrieri, e grandi produttori di vino e di olio, che
vendevano
direttamente dalle proprie cantine per evitare l'intermediazione da
parte di
osti e vinai, ricavandone un guadagno maggiore. L'avventore lasciava il
fiasco
vuoto e ne prendeva uno pieno, che poi avrebbe riportato la volta
successiva.
Negli
anni, moltissime buchette sono state alterate
notevolmente: sono diventate cassette per la posta, eleganti
porta-campanelli
o, più semplicemente, murate. Tante altre sono andate perdute
irrimediabilmente.
A San Miniato i "tabernacoli"
sopravvissuti sono
soltanto tre, ma un tempo dovevano essere molti di più. Sono elementi
"d'importazione", e decisamente più semplici rispetto ai
corrispettivi fiorentini.
Dopo la conquista del 1370, e per
tutto il '400, i
Fiorentini esportarono nel territorio sanminiatese il loro modello di
organizzazione territoriale, basato sulle ville-fattoria a controllo
del
capillare sistema mezzadrile. Dal Catasto fiorentino del 1427 sappiamo
che il
territorio sanminiatese era coltivato a vigneto per quasi un quarto
della
superficie produttiva dichiarata (corrispondente a circa 2400 staiora),
e ad
oliveto per circa il 40 % (circa 4300 staiora) (1). Considerando che lo
staio è
la quinta parte dell'ettaro, possiamo trasformare le due superfici in
480 e 860
ettari. Approssimativamente un ettaro di vigneto produce circa 80
quintali di
uva, dai quali si ricava il vino con una resa del 70 %, quindi da ogni
ettaro
di vigneto possiamo ottenere 56 quintali di vino, circa 5500 litri.
Analogo
ragionamento possiamo farlo per gli oliveti: un ettaro di olivi,
disposti a
sesto d'impianto, produce circa 50 quintali di olive, dai quali si
ricava olio
con una resa del 12 % circa, ovvero olio per 6 quintali/ettaro,
corrispondente
a circa 660 litri. Quindi in totale abbiamo circa 2,5 mln di litri di
vino e
circa 0,5 mln di litri di olio, prodotti nel territorio sanminiatese
nel primo
Quattrocento (2).
Scala del Vescovado,
San Miniato
Il
"tabernacolo" più bello, ma anche molto
sciupato, è quello situato ai piedi della vecchia Torre dei Pallaleoni;
la
torre costruita nel 1310 si ergeva al centro dell'odierno Palazzo
Vescovile, di
fianco al Palazzo "vecchio" del Popolo (3) e scapitozzata nel 1746
(4). Nel 1489, anno in cui il palazzo fu destinato ai canonici
dell'allora
Collegiata dei SS. Maria e Genesio (poi dal 1622 Cattedrale), secondo
il
Piombanti venne realizzato lo sdrucciolo che da Piazza del Seminario
conduce a
Piazza del Duomo passando sotto al palazzo, chiamato Scala del
Vescovado, sopra
il quale è collocato uno stemma consunto dal tempo, la cui appartenenza
ci è
ignota (5). La muratura ai margini non è esattamente sagomata, il che
fa
pensare alla "buchetta" come elemento aggiunto in un momento
successivo. Probabilmente fu realizzata dai Canonici posteriormente al
1489,
come punto di vendita del vino prodotto nelle cospicue proprietà
ecclesiastiche,
anche se non è da escludersi una datazione anteriore.
Questa
buchetta è caratterizzata da una edicola in pietra
serena, molto consunta, con terminazione a punta. Sul lato sinistro si
notano
ancora gli alloggi per le cerniere metalliche, che dovevano sostenere
la
porticina in legno. Negli anni è stata tamponata in muratura.
Buchetta
del Vino "dei Canonici" San Miniato, Scale del Vescovado
La
seconda "buchetta" è quella del Palazzo Roffia,
edificato nel '500 a partire da una più antica abitazione risalente per
lo meno
al '300 (6). Si tratta di un'edicola in pietra arenaria, con
terminazione
arcuata, e con trattamento superficiale liscio. L'antica porticina è
stata
tamponata con muratura e poi intonacata.
Esternamente
l'apertura è collocata molto in basso, in
prossimità del piano stradale. Internamente invece si trova ad una
quota di
circa 60 cm dal pavimento, essendo il solaio dell'edificio più basso
rispetto
alla strada. Tale differenza di quota è da attribuirsi al progressivo
innalzamento della sede carrabile, avvenuta negli ultimi due secoli.
Palazzo Roffia, particolare San Miniato,
via Augusto Conti
La
buchetta era collegata direttamente con la cantina del
palazzo, situata dove oggi c'è il Circolo "La Cisterna". Lo
sdrucciolo, che oggi fa da accesso al circolo, consentiva di
trasportare i
fiaschi del vino fino al piano terreno, dove venivano venduti al
pubblico
attraverso l'edicola.
I
Roffia avevano consistenti
possedimenti proprio a Roffia, nella pianura nei pressi dell'odierna
San
Miniato Basso, nella valle dell'Ensi (nei pressi di Marzana "bassa"),
e in quella del Rio Pilerno (Catasto Generale della Toscana, 1834).
Quindi
dalla campagna, parte della produzione del vino raggiungeva San
Miniato, dove
veniva venduta ai cittadini direttamente dal palazzo padronale.
Buchetta del Vino
"dei Roffia" San Miniato, Palazzo Roffia, via Augusto Conti
Analogo discorso, vale per il
"tabernacolo" di
quello che un tempo era il Palazzo Pini, poi Pini-Maioli, Maioli e
infine
Viviani, situato in Piazza XX settembre, sul lato opposto rispetto
all'ospedale. L'edificio presenta una facciata articolata,
evidentemente frutto
di ampliamenti e rifacimenti. Tuttavia sappiamo che i Pini, a cui
probabilmente
si deve il nucleo originario dell'abitazione, erano presenti a San
Miniato già
nel XIII secolo, e nel '400 vengono indicati come nobili (7). La
famiglia
continua a sopravvivere fino a tutto l'800, e detiene possedimenti
dalle parti
di Bucciano, Balconevisi, Agliati e a San Miniato sul fronte
settentrionale
della contrada di Pancole. Erano quindi proprietari terrieri, e
vendevano il
vino prodotto.
Palazzo
Pini, poi Pini-Maioli, Maioli, Viviani
San Miniato,
piazza XX settembre
La "buchetta" del vino dei Pini è
quella più
semplice delle tre. Costituita da una edicola in pietra arenaria,
arcuata, e
con la terminazione che presenta una punta accennata. Negli anni è
stata
murata, ed è situata alla sinistra del portone di ingresso, ad una
altezza da
terra di circa un metro. Al basamento dell'edificio, esattamente in
prossimità
della buchetta, si aprono tre finestrelle quadrangolari, una sorta di
piccole
"bocche di lupo", che servivano per aerare ed illuminare i locali
seminterrati, verosimilmente adibiti a cantine.
Quelli che abbiamo visto sono i tre
"tabernacoli del
vino" superstiti. Probabilmente ogni famiglia nobile, aveva una edicola
attraverso la quale vendere vino e olio direttamente dalle proprie
cantine.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
(1) Salvestrini Francesco, San Miniato
al Tedesco. Le
risorse economiche di una città minore della Toscana fra XIV e XV
secolo, in
Rivista di Storia dell'Agricoltura, n. 1, 1992, pp. 111-118.
(2) E' bene precisare che i valori
considerati non sono
quelli odierni, ma cautelativamente più bassi, e sempre arrotondati per
difetto, tenendo conto della minore produttività dell'epoca. Non vanno
intesi
come dati effettivi e certi, ma solo come indicazione quantitativa. E
lo stesso
dicasi per le superfici, sicuramente inferiori a quelle effettive: nel
computo
non è considerato il seminativo alborato vitato, e poi essendo il
catasto
basato su accertamenti che non prevedevano la misurazione scientifica
del
terreno, è ragionevole ipotizzare una consistente approssimazione al
ribasso.
Inoltre il territorio sanminiatese non era quello attuale. Buona parte
della
Valdegola ricadeva nei comuni di Barbialla, Cigoli, Stibbio e
Montebicchieri,
ma di San Miniato erano i territori di Marcignana, Ponte a Elsa,
Monteprandi e
Brusciana, poi riordinati con la riforma comunitativa del 1774. Si veda
il
Regolamento Generale per le Comunità del Distretto Fiorentini del 29
settembre
1774 e il Regolamento Locale per la Comunità di Samminiato del 14
Novembre
1774. Quindi la superficie del territorio sanminiatese dell'epoca è da
considerarsi circa l'60-70 % di quella attuale.
(3) "Pulienses et Malederate de sancto
Miniate fecerunt
simul consortium, et se invicem ad cartam ligaverunt et obligaverunt de
manutenendo guerram et pacem simul etc, sub anno predicto et
indictione, die
XXVIII novembris. Postea anno MCCCX, de mense agusti , fecerunt fieri
turrim de
lateribus prope palatium, et vocabatur <<La torre dei
Pallaleoni>>", Giovanni di Lemmo da Comugnori (ed. a cura di
Vieri
Mazzoni), Diario (1299-1319), Leo S. Olschki Editore, Firenze, 2008, c.
18r, p.
22.
(4) Piombanti Giuseppe, Guida della
Città di San Miniato al
Tedesco con notizie storiche antiche e moderne, Tipografia di Massimo
Ristori,
San Miniato, 1894, rist. anast. Matteoli Anna (a cura di), Bollettino
dell’Accademia degli Euteleti di San Miniaro al Tedesco, n. 44, 1975,
p. 79;
cfr. Cristiani Testi Maria Laura, San Miniato al Tedesco. Saggio di
storia
urbanistica e architettonica, Marchi & Bertolli, Firenze, 1967, pp.
101-102.
(5) Piombanti, Op. Cit., p. 79.
(6) Cristiani Testi, Op. Cit., p. 123.
(7) Boldrini Roberto (a cura di),
Dizionario Biografico dei
Sanminiatesi (secoli X-XX), Comune di San Miniato, Pacini Editore,
Pisa, 2001,
p. 229.
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